sabato, settembre 17, 2005

Settantasette passi

Era accaduto quello che immaginava, c'era da aspettarselo. Non sentiva. Non vedeva o non voleva vedere. Chi lo guardava, non capiva cosa stesse succedendo a Qualcuno.Sguardo spento, perso in una fissità quasi patologica. E camminando urtava persone, cose, fors'anche animali. Non chiedeva scusa poichè non era cosciente dell'impatto. Attorno a lui soltanto un paesaggio indistinto, senz'anima, e senza anime a popolarlo.Accadeva questo, in una mattina nuvolosa agli inizi di un novembre di un annoqualunque.In un paio d'ore era divenuto un fenomeno da baraccone. Dapprima grazie alla sua camminata goffa, ed il percorso strenuamente e inquietantemente ripetuto alla nausea. Settantasette passi contati tra la seconda panchina (a destra del cartello "rispettate la Natura, non solo quella umana") e l'abete secolare, andatura costante e sguardo perso tra il cielo ed un telefono cellulare.

Di certo Qualcuno era cosciente del fatto che il parco a quell'ora era affollato di bambini che accompagnavano i nonni per una salubre passeggiata. Ed era cosciente che il parco ospitava anche giovani studenti che trovavano maggiormente attraente sfogliare un libro immersi nel verde di un parco, piuttosto che nell'edificio postmoderno che ospitava l'università polifunzionale poco distante da lì. Ed aveva paura, perchè durante il suo attendere vedeva solo chiazze d'alberi e panchine confuse. Nessuna anima viva, pur essendo cosciente che intorno a lui qualcuno doveva esservi. Il problema nasceva dalla sua mente malata, ma sapeva che aspettare era l'unica medicina possibile. Certi temerari avevano persino tentato di frapporsi sul suo abituale tragitto per vederne la reazione. Era un trattore. Arrivava alla sua meta scostando con una forza disumana coloro che gli ostruivano la via, nonostante il suo fisico esile. Oh, se era esile. Personaggio dall'aspetto misero, minuto, alto tanto da rendergli accessibile meno di un decimo della popolazione femminile mondiale.

"Hey tu! Ferma!" gli gridavano all'orecchio. E lui non batteva ciglio.

L'anziana signora voleva chiamare la polizia, ma il giovane studente di psichiatria la lasciò desistere con un approssimativo "vediamo cosa succede". Era come se ad uno storico avessero chiesto di consegnare il reperto archeologico appena trovato alle autorità competenti.
"Signora, vede? Guardi il suo sguardo fisso, noti il percorso ripetuto con incessante dedizione. E' una tipica distorsione della personalità che si riflette sulla deambulazione. Probabilmente si trova in uno stato di trance indotto da un trauma pregresso"
"Quanti inutili paroloni, a me sembra solo un pazzo fuggito da una clinica psichiatrica! Santo cielo, dovremmo fare qualcosa!".
Passarono due secondi e forse qualche altro decimo da quell'ultima frase, quando un cellulare squillò. Era il cellulare di Qualcuno.Quel suono lo bloccò dal suo ipnotico incedere.
Guardò il numero, finiva per settantasette settantasette.
Rispose.
"Addio" disse la voce dall'altro lato del telefono.
Chiuse.
Mentre una lacrima gli rigava il volto, una folla di gente gli apparve intorno.
"Scusate" disse. E andò via senza dire null'altro.
Eppure era stato avvertito. La mamma l'aveva cresciuto rammentandogli in continuazione di come l'amore renda ciechi.

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